Mi sento chiamare da lontano.
E’ Chiara che mi corre incontro lungo il corridoio dei laboratori del DIBIT, presso l’Università Vita-Salute San Raffaele. Lei è sempre di corsa: responsabile del suo laboratorio, moglie e madre di due figli; se non corresse, non sarebbe Chiara Bonini.
“Ti spiace se l’intervista la facciamo camminando? Devo recuperare mio figlio che esce dal dentista”.
Percorriamo due piani di scale, un corridoio arancione e finalmente ci troviamo in una grande sala d’attesa semivuota per l’intervallo del pranzo, e qui cominciamo a parlare.
“Sono contenta che ADMO abbia mandato te ad intervistarmi”.
In effetti sono contenta anch’io, seguivo i pazienti di questo protocollo anni fa quando lavoravo in Unità Trapianto di Midollo sotto la direzione del prof. Fabio Ciceri; ho in mente i loro visi e quelli dei parenti che li accompagnavano, me lo ricordo nei loro letti nelle stanze sterili in reparto, e poi in ambulatorio post-trapianto sempre meno “pazienti” e sempre più “persone”.
“E’ grazie al lavoro di tutti, non solo dei ricercatori ma anche dei medici, degli infermieri e di chi lavorava nella diagnostica che abbiamo potuto pubblicare questo lavoro”.
Chiara non dimentica nessuno, per noi clinici è sempre una soddisfazione quando viene ricordato il nostro contributo….
D: “Chiara, prova a spiegarci in modo semplice la tua scoperta”
Ne abbiamo sentite di tutti i colori sui giornali e in Internet, al punto che io stessa ho fatto fatica a capire di cosa si stesse parlando esattamente.
R: “Abbiamo monitorato il sistema immunitario di alcuni pazienti sottoposti a trapianto di midollo secondo protocollo “TK” per periodi lunghissimi, fin oltre 14 anni da trapianto. I pazienti di questo studio, in particolare, sono stati trapiantati per leucemia acuta”.
In sintesi, per spiegare ai non addetti ai lavori, dopo il trapianto questi soggetti sono stati sottoposti ad infusioni di linfociti del loro donatore di midollo, modificati geneticamente con il gene suicida “TK”. I linfociti sono tra le cellule più importanti del sistema immunitario, e sono infusi proprio per la loro capacità di combattere le infezioni e prevenire le recidive di leucemia. I linfociti sono però strumenti pericolosi, e la presenza del gene suicida TK può eventualmente inattivarli in caso creino danni nel corpo del ricevente (la cosiddetta “malattia del trapianto contro l’ospite”). Il protocollo TK è ancora attivo e sta arruolando pazienti in diversi Centri Trapianto internazionali.
R: “Anni dopo la loro infusione le cellule portatrici del gene TK vengono eliminate per i normali processi biologici; ma quelle che sopravvivono più a lungo nel corpo dei pazienti sono le cosiddette “memory T stem cells”, che abbiamo caratterizzato e studiato nel loro comportamento. Sono proprio queste cellule del sistema immunitario del donatore a lavorare nel corpo del ricevente dopo il trapianto, e potrebbero contribuire a combattere le recidive di malattia. E’ un po’ come se fossero delle truppe di pattuglia esperte, che conoscono il loro nemico quando si presenta, e lo combattono anche se per anni è stato nascosto”.
D: “Quindi TK in questa circostanza è stato un marcatore che ha aiutato a “vedere” queste cellule, che altrimenti si sarebbero confuse insieme alle altre?”
R: “Esatto! TK è stato utile non solo per infondere linfociti “sicuri” nel post trapianto, ma anche per studiare come il trapianto funziona davvero in vivo, nel corpo di chi lo riceve”.
D: “Pensi che il fenomeno studiato in questo lavoro sia lo stesso anche in altri tipo di trapianto?”
R: “Esattamente, possiamo supporre che ogni trapianto di midollo funzioni nella stessa maniera per questo aspetto, indipendentemente dal tipo di donatore che viene utilizzato (familiare o da registro), ed indipendentemente dalla presenza del gene TK”.
D: “Senza trapianto di midollo, però, niente memory T stem cells”
R: “Il nostro studio dimostra proprio come e con quali mezzi funziona l’effetto immunoterapico del trapianto. Le memory T stem cells di un donatore sono più arricchite in specificità utili contro la leucemia, proprio perché non sono tolleranti alla leucemia stessa, come lo sono le memory T stem cells presenti nel paziente stesso. Anche per questo motivo è importante che siano infuse nel contesto del trapianto di midollo osseo ”. Aggiunge “ Bisogna ricordare che ad oggi il trapianto di midollo è l’unico tipo di terapia cellulare la cui efficacia non è più oggetto di esperimento, ma è provata nella pratica clinica”.
D: “Chiara, conosci ADMO e il Registro Donatori di Midollo?”
R: “E come no? Sono iscritta da tanti anni!”.
Sono andata poi a verificare, Chiara è uno dei primi 10 donatori ad essersi iscritta presso il Centro Donatori del San Raffaele nel lontano 1991
“Peccato solo che non mi abbiano mai richiamata per donare”.
Non è ancora detto! Non si rivela l’età di una signora, ma fino a che non compirà 55 anni potrebbe sempre arrivare la nostra telefonata per un paziente che ha bisogno di lei, proprio di lei…
D: “Se tuo figlio, quando sarà maggiorenne, ti dicesse che è venuto ad iscriversi ad ADMO, cosa gli diresti?”
R: “Gli direi che sono felicissima, cosa c’è di più bello di donare una parte di sé regalando a qualcun altro la vita?”.
Ringrazio Chiara; spero saprò trasmettere con il mio “pezzo” la passione e l’entusiasmo che lei riesce a trasmettere di persona.
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intervista di Michela Tassara, referente per il Centro Donatori MI 07, e medico presso il SIMT dell’Ospedale San Raffaele, diretto dal dottor Luca Santoleri.
Grazie a ADMO LOMBARDIA per la bella intervista.
Fonte: http://www.admolombardia.org/intervista-a-chiara-bonini/
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